Oh
miei dei tutti … assistetemi in questa recensione, che vuole anche essere una
sfida fra le due versioni di testa del più bel musical esistente: Notre-Dame de
Paris.
Lo
scontro è ovviamente fra quella francese e quella italiana.
Incomincio
con alcune premesse – che ritengo d’obbligo, visto che potrebbero condizionare
le mie impressioni – :
In
primis io AMO il romanzo di Victor Hugo. Potrei dilungarmi qui in una
forsennata opera di saggistica comparativa, secondo la quale si scoprirebbe che
anche il tanto amato cartone della Disney (Il
Gobbo di Notre-Dame) non è tutta la meraviglia che fanno credere …. Ma non
lo farò o rischio di diventare isterica già da adesso. E voi non volete che io
diventi isterica. E neanch’io lo voglio, dai, … è la mia prima recensione!
Seconda
precisazione importante: vengo da anni e anni di amore per la sola versione
italiana. Non avevo mai visto la francese in maniera integrale. Per pigrizia,
comodità e un bel pizzico di ipocrisia, da quei due o tre spezzoni che avevo
visto della versione originale, mi permettevo di dire che “non mi piaceva”.
Un
bel giorno ho deciso che dovevo smetterla di fingere che la versione nella mia
lingua fosse l’unica e la migliore, così mi sono messa davanti allo schermo, e
ho affrontato la realtà.
Mi
ringrazierò all’infinito per averlo fatto.
Cosa
mi stavo perdendo!!
Sarò
sincera e ammetto che ho apprezzato la novità soltanto a una seconda visione,
perché alla prima dovevo abituarmi ad alcune cosette, che poi vi spiegherò.
Quindi,
signore e signori, questo è il big scontro: Notre-Dame de Paris il musical.
VERSIONE ITALIANA vs VERSIONE FRANCESE.
Quello
che pare subito chiaro è che la versione italiana è volta alla perfezione tecnica
ed esecutiva dello spettacolo, che risulta infatti magistrale, mentre la
francese punta il suo focus sulla
carica emotiva (e ci riesce dibbrutto, dannazione!).
Detto
questo, credo si possa passare a una sorta di face-to-face ed analizzare un
paio di punti salienti del musical:
1) TESTI DELLE CANZONI: Beh, inutile
mentire. I testi sono scritti per essere in francese e si sente. Per carità,
amo ogni singola parola dei testi italiani e anzi, mi meravigliavo di come
nella nostra lingua si sia mantenuta una notevole fedeltà rispetto
all’originale. È la stessa sensazione che si ha quando si ascoltano le canzoni
Disney delle versioni italiane e poi vai a sentire l’originale. Tutta un’altra
storia. Niente da fare, punto alla versione francese e chapeau, perché ci sono
frasi da far piangere e sbudellare tutta l’anima. (si, era un’immagine truce,
ma mi sembrava efficace)
2) TRUCCO E COSTUMI: credo che il punto
qui vada ai nostri, invece. Sono molto simili, ma basti pensare alla
tendina-rosa-a-chiazze-che-sembra-sudata che indossa la Fleur-de-Lys francese e
immediatamente do il voto alla versione italiana. Mi piace com’è vestito Pierre
però (e te pareva #lafissadipierregringoire).
Sistemate
ora le generalità, addentriamoci nelle specificità. Voglio recensire con un
estenuante commento a cuore libero, quindi mettiamoci l’animo in pace e
commentiamo passo passo lo svolgimento dei due musical.
Una
follia? lo vedremo!
Per
comodità, partirò come base a osservare la comedie
francese e la confronterò con la versione italiana (ma nulla vieta un sano
switch). In pratica voglio avvisarvi che si, lo so che lo spettacolo in
francese è precedente a quello nell’Arena di Verona, ma che mi comporterò come
se fosse l’esatto contrario, visto che ho fangherlizzato per anni solo e soltanto
sul musical in italiano.
Bene,
eccoci qui: schermo intero, cuffie, e un bell’inizio stiloso, con la bellissima
Overdure. Già sono emozionata! È come
in italiano! Siamo stati bravi a mantenerla così!
Parte
Le
Temps des Chatedrales e fin qui tutto normale: come già detto, si sente
che i testi sono nati per essere in francese e la musica ci calza a pennello,
come se parole e strumenti fossero cuciti sulla stessa corda.
Mi
piace lo stile quasi spossato e distratto di Bruno e ooh ma quanto è
ipnotizzante la plasticità della sua faccia: quando dice “anonimes” e porta il mento in avanti mi fa impazzire! (Ora lo
rimetto in loop per ancora dieci secondi).
Bella,
bellissima, meravigliosa prima canzone introduttiva. La trovo molto più
emozionale de Il Tempo delle Cattedrali,
ma non per le parole, quanto per l’animo con cui è cantata.
Matteo
Setti (un grandissimo signor Gringoire!) dà molta energia in questo pezzo,
anche troppa. Mi fa quasi l’effetto di uno che ha già svelato i suoi segreti al
cominciare dell’opera, mentre Bruno lascia uno spiraglio di mistero attorno
alla sua bravura.
Sto
vaneggiando?
Andiamo
avanti e sorvoliamo il papiro che mi verrebbe da scrivere sul ruolo del
personaggio di Gringoire nel musical, così diverso da quello del libro (aaargh!
L’ho detto!).
Eccoci
dunque a Les Sans-papiers, nostra I
Clandestini.
Arrivano
gli zingari!
Arrivano
gli zingari!
Sono
emozionatissima! Marco Guerzoni è così espressivo, quando si alza, così
comunicativo!
Oh…
È
lui Clopin?
Confesso
che appena ho visto la faccia del Clopin francese (non ricordo il nome, non ho
voglia di andarlo a cercare, scusate!) ho urlato il più grosso WTF?! della
storia. Poi però mi sono ricreduta, perché ho percepito nella sua voce e nelle
sue espressioni un’energia non indifferente.
Wow,
mi dico, mi piace anche lui. Non è gnocco da paura come era Guerzoni, ma
cavoli! È proprio bravo!
Nel
mio immaginario, non so perché, Guerzoni
somiglia più a uno zingaro (nonostante io sia quasi certa di non aver mai visto
uno zingaro uomo) rispetto a questo giovinotto francese.
Ah
ma guarda un po’, facciamo la prima conoscenza di Frollo.
Già
da questa sua fugace apparizione, capisco che non c’è paragone: Daniel Lavoie,
ti amo già. Che sguardo espressivo! Che presenza drammatica! In mezzo secondo
di apparizione mi ha già fatto capire che il suo personaggio ha un’interiorità
vastissima e travagliata.
Nella
versione italiana, perdonatemi, Matteucci arriva e saluta con un “bellabbestia,
bimbi!!” e poi se ne va.
Andiamo
diretti verso Bohémienne o Zingara,
perché sono curiosissima di conoscere Esmeralda e vedere come sbuca balland….
Ohè! Ma è lei quella lì per mano a Colpin? O Phoebus, ma cosa fai? Ma sei
impazzito? Ma che si rapisce una ragazzina così?! Oh! Ma badatelo! L’ha presa
di forza! Ma che non c’è più religione da queste parti?!
Lei
si sgancia dalla presa del bel (?) capitano e credo tenga in mano un
teatralmente invisibile coltellino svizzero. L’inquadratura ritorna su Phoebus
e … PUAHAHAHA! Ma cos’è quella faccia?! La rape face del secolo!
Phoebus!
Mi raccomando!! Cominciamo bene!
Insomma
… dopo questa scena che mi ha lasciata un po’ perplessa (preferisco di gran
lunga lo scambio di spintoni Phoebus-Clopin che c’è nella versione italiana.
Mamma mia come funziona bene!!) abbiamo la famigerata presentazione della
protagonista.
Oddio,
ammetto che Hélène mi è subito parsa più bella di Lola (per quanto entrambe
siano ben lontane dall’Esmeralda di Hugo … ma lasciamo perdere di nuovo, che mi
parte il papiro, sennò!), però l’atteggiamento è tutto sbagliato!
Qui
lei pare una sorta di Jessica Rabbit, primadonna, super figa, che se la tira e
fa la misteriosa.
Lola
aveva l’energia giusta! Una vera manifestazione della voglia di vivere e della
gioia di una ragazzina di quindici anni!
No,
Esmeralda, non mi sei piaciuta. Non hai nemmeno le movenze adatte, non balli,
non corri e … maccoss? … PUAHAHAHAHAH!
Ma
cos’è?? Ma. Cosa. È???!!
Rotolo!
Ma forte!
Siamo
solo alla terza canzone e già mi son fatta le due grasse risate della vita!
Ma
cosa … ma cosa fai?!
Perché
Clopin fa il fenomeno da baraccone, spuntando da dietro e agitando le mani come
se fossimo a un concerto rap? Ma sta tipo aizzando la folla?!
Smettila
ti prego! Vuoi che muoro?!
*
risate incontenibili per circa mezz’ora, che impediscono la visione di quel
ridicolo tentativo di Clopin di leggere la mano di Esmeralda. Plis. Nodai. *
Sorvoliamo
Esmeralda
tu sais in cui non c’è dialogo, ma solo Clopin a cantare … e non m’è
piaciuta particolarmente.
Con
Ces
Diamants-là si introduce il personaggio di Fleur-de-Lys.
Non
riesco a non amarla. Ma com’è adorabile?
Nella
versione italiana aveva un’aria schizzinosa e vanitosa che la rendeva
immediatamente antipatica. Qui è una cucciolina, tenerissima (con addosso
un’orribile tendina rosa a chiazze che sembra sudata, ma vabbé) e con una
vocina meravigliosa.
Nel
musical italiano li avrei presi a menate nel muso entrambi, qui invece darei un
bel ceffone solo a Phoebus.
Parliamo
un attimino di lui: fisicamente nessun attore dei due musical somiglia al Phoebus
biondo con i baffi del romanzo, però credo di preferire l’aspetto di quello
francese (che più lo guardo, più mi somiglia a Fabio Fazio).
Il
nostro ha un’aria a “mi sento superiore” che ci sta moltissimo, però è un po’
troppo regale, mentre quello francese è proprio un “via, che bello, una zingara
bona che me la dà” (cosa che direbbe il vero Phoebus, d’altra parte).
Musicalmente
(e ovviamente per il testo) questa canzone è meravigliosa. Quello stacchetto
musicale ignorato in italiano è veramente bello e dà un tocco molto medievale
alla vicenda. Forse Cocciante l’ha tolto per snellire un po’ il tutto (come ha
fatto con altre canzoni, vedasi il Papa
dei Folli, Le porte di Parigi …
etc), ma secondo me è una vera perdita!
Insomma,
fra trippole e trappole siam giunti a La Fête Des Fous. Potevo benissimo
non essermi accorta che fosse cominciata, perché nel tempo che ci mette la
musica a ingranare, facevo in tempo a scendere al bar e ordinarmi un caffè.
Qui
lo snellimento è stato davvero funzionale; anzi, più che altro l’ottimizzazione
dei tempi.
Ma
quanto cavolo è potente quell’organo che parte, in italiano, così dal nulla e
ti fa sobbalzare? Viva la festa dei folli! Punto per noi italiani.
Matteo
Setti è il vero boss, con questa canzone. Credo di avere appena scoperto che
Matteo è un ottimo Gringoire nelle scene “dinamiche”, mentre Bruno è la
perfezione per i momenti misteriosi e intriganti.
Fa
capolino qui un tenerissimo Quasimodo.
C’è
una differenza sostanziale fra Garou e Giò di Tonno (anche se cominciano tutti
e due per G) (lol, ma che cazzata ho detto?), ossia che il primo ha dato un
animo dolce e tenero al caro vecchio gobbo, mentre quello di Giò è più asettico
(per quanto quel genio di cantante possa esserlo! Mamma mia, mi sembra di dire
cose così brutte … la verità è che sono tutti degli interpreti bravissimi e io
sto cercando troppo il pelo nell’uovo!).
Facciamo
la conoscenza del povero Quasimodo con Le Pape des Fous, canzone molto più
snella e scorrevole in italiano, ma dal testo tremendamente toccante in
francese (per favore: ma chi ha deciso di usare quella corona? È ovvio che in
uno spettacolo teatrale non si vede, quel pidocchio di corona!).
Ottima
l’esecuzione di entrambi gli interpeti, anche se ribadisco la chiave tenera e
disperata di Garou e la magistrale immedesimazione di Giò.
Stesso
animo anche per L’Enfant Trouvé. Mi piaceva quel barlume di affetto di Frollo
(quella sottospecie di carezza che c’è in italiano), è un peccato che non
l’abbiano fatto anche nell’originale. Daniel lo sto amando sempre di più e mi
sta gettando Vittorio giù negli abissi (come diavolo c’è riuscito, lo sa solo
lui!).
Continuo
a non capire se Hélène si è accorta di essere sul palcoscenico o no, in tutto
questo.
Ed
eccoci a una delle mie canzoni preferite: Les Portes de Paris.
Trovo
la versione francese davvero troppo lunga, così che fa quasi perdere il phatos
misterioso (ma tranquilli! Bruno riesce a trattenere la nostra attenzione con
un qualche incantesimo della sua voce).
Adoro
quel “la nuit” detto in lieve
falsetto (ho detto bene?), mentre in italiano non è reso per nulla.
La
risatina finale è … boh … meravigliosa. Perfetta. Intrigante.
Tutta
questa canzone lo è. Complimenti per chi l’ha scritta e per chi l’ha interpretata.
Un’atmosfera davvero particolare.
Non
ho voglia di scrivere il lungo titolo della canzone in cui Esmeralda fugge da
un Quasimodo in carica (un inseguimento piuttosto divertente, debbo ammettere).
Andiamo
dritti verso La Cur des Miracles.
Ora,
il signor Luck (si, sono andata a cercarmelo) deve avere un potere simile a
Sansone, o qualcosa del genere: quando ha i capelli sciolti è un gran bel pezzo
di manzo (leggasi gnocco), potente, arrabbiato, grintoso, e boh, la vita tutta;
quando li ha legati, si trasforma in un personaggino buffo, quasi comico, un
po’ ridicolo e impacciato (è solo la mia impressione, siete liberissimi di
discordare, anzi, meglio se non condividete quest’idea!).
In
questa canzone, non solo lo abbiamo versione capelli-sciolti, ma ci è donato in
cima a una trave traballante, sarcastico, arrabbiato e molto molto a suo agio.
Quello
che rende la versione francese neanche lontanamente comparabile a quella
italiana (che risulta un po’ fiacca), per questo pezzo, è proprio il feeling
che c’è fra Clopin e la sua postazione.
Marco
Guerzoni, benedetto ragazzo, bello come il sole, espressivo e tutto il resto,
pare poco fiducioso di quell’asta metallica. Non ci si sente molto in sintonia
e lo vedo che vorrebbe essere giù con i ballerini a saltare e spaccare i culi.
Luck,
invece, pare nel suo habitat naturale. Lui, su quel micro spazio che gli è
concesso, ci balla, ci salta, ci si sdraia, ci fa le acrobazie e se ne
strafrega della paura di cadere. Lui è un tutt’uno con quella trave, e dà
proprio l’idea di sentirsi il re dei gitani.
Non
riesco a trovare le parole per descrivere la meraviglia di questa canzone, e la
carica di energia che trasmette; vi dico solo che è diventata una delle mie
preferite, immediatamente.
Con
le canzoni che seguono, ossia Le Mot Phoebus e Beau
Comme le Soleil si delinea la personalità infantile di Esmeralda,
innamorata del bell’ufficiale con un nome che promette bene (?). Si
approfondisce anche il personaggio di Pierre, che viene friendzonato
all’istante nonostante avesse fatto la dichiarazione più poetica dell’universo
conosciuto.
Insomma,
se sia Bruno che Matteo danno un’ottima interpretazione dei sentimenti di
questo poeta ascetico (innegabile però che c’è molta più complicità scenica fra
Matteo e Lola!), Hélène resta una Jessica Rabbit apatica e un po’ buffa nel
tentativo di sembrare una bambina.
Non
è adatto a lei un testo un po’ capriccioso e fanciullesco, come si trova in
queste due canzoni.
Lola
invece, in Bello Come il Sole, dà
proprio l’idea della ragazzina innamorata, con il desiderio quasi prepotente e platonico
di poter definire l’affascinante cavaliere “il suo uomo”.
Morale
della favola? Sto tifando per Fleur-de-Lys. E io non avevo mai tifato per
Fleur-De-Lys!
Non
so se è la versione che ho io oppure se è proprio una scelta di montaggio
presente in tutti i dvd … ma a me, alla fine di Beau Comme le Soleil appare il mega faccione di Phoebus con
l’espressione da pesce lesso più lesso di sempre. Non voglio chiedermi di chi sia
la colpa, ma, bimbi … è raccapricciante (e il problema non si presenta solo
qui, come dirò più avanti, se me ne ricordo).
Tocca
proprio a Phoebus, ora, con Déchiré, porsi il dilemma
(inesistente nel libro … BASTA! Mi fermo! Giuro!) della scelta della pulzella.
Da una parte una Esmeralda super gnocca, primadonna, sciocca, elegante e
raffinata (lo stereotipo della zingara, insomma), dall’altra una damigella
innocente, carinissima (malvestita) che pare molto più in grado di giudicare il
suo promesso sposo per quel che è.
Boh,
non so. Sarà che proprio la canzone non mi convince più di tanto. Nella
versione italiana, almeno, avevamo delle bellissime masse muscolari che si
contorcevano dietro il pallido figurino di Phoebus. Credo che la coreografia
italiana faccia un po’ di differenza, qui.
Comunque,
lasciamo Fabio Fazio (che, mi sa, era un po’ assonnato) ai suoi problemi
inutili e parliamo di una cosa seria.
OH.
Eccolo!
Di
nuovo!
Ecco
il fermo immagine!
Perché
c’è un omino mezzo pelato in una posa imbarazzante, in mezzo a Frollo e
Gringoire?!
Lèvati,
omino, lèvati! Fammi assistere a questa scena meravigliosa!
Vi
prego, perdonatemi questa divagazione libresca un’altra volta soltanto: se
avete letto il romanzo, questa parte è veramente divertente.
Claude
Frollo interroga un innocentissimo Pierre Gringoire, colto da un tremendo
attacco di gelosia.
Quando
ho visto come Matteucci e Setti hanno reso la cosa, mi sono detta: “mah,
peccato! Era una scena così divertente, qui è resa solo in maniera teatrale”.
Ma
… ta-taaan! Arriva il miracolo del musical francese: ma come gliele dice
dietro, Frollo! Ahahahah, e Gringoire che gli risponde tutto gasato! Ahahahah
bravissimi! Una complicità ottima!
Parentesi
nella parentesi: ho cercato di documentarmi, ma ancora non ho capito perché i
francesi abbiano “Anarkia” invece di “Ananke”. Cavolo, c’è differenza fra
“anarchia” e “fatalità”. Sono confusa …
Si
arriva adesso a quella canzone che tutti si aspettano, il simbolo stesso del
musical di ogni nazionalità: Belle.
Non
so bene perché questa canzone sia così amata. Non fraintendetemi, la amo da
morire, è meravigliosa, è una delle mie preferite, è fantastica! Solo che per
me c’è una specie di “legame affettivo” : è stata la prima che ho imparato,
quando ero una bimbetta, perché con una mia cara amica ci eravamo fissate e la
cantavamo in loop.
Probabilmente
è così popolare perché fa un po’ da copertina a tutta l’opera: Esmeralda,
bellissima, di cui tutti sono innamorati. Fine.
Ci
può stare, però boh, ci sono forse canzoni più significative (ma ora che voglio
scriverle non mi vengono in mente …. Ok, Belle
ha vinto).
Dalle
tre dichiarazioni d’amore, vengono fuori alcune considerazioni:
Quasimono
è un tenerello, povero bambino. Garou è stato formidabile a dargli un’interpretazione
così dolce.
Phoebus
è il solito deficiente che, maremma impestata, vado lì e gli tiro un ficcone
fra moccio e bava.
Ma
chi emerge, che ancora ha lasciato intendere una vastità infinita, ma non si è
svelato del tutto? È il nostro Frollo!
Daniel
Lavoie deve essere una specie di divinità dell’interpretazione e dell’immedesimazione.
Quello non è Daniel Lavoie. Quello è Claude Frollo. Come possa un performer riuscire a impostare la luce dello sguardo, così da
rendere fedelmente l’interiorità di un personaggio come Frollo, per me è
inconcepibile.
Ed
è proprio su di lui che vorrei incentrare il mio focus, adesso, facendo un
piccolo salto per arrivare direttamente a Tu Vas Me Détruire.
Già
mi sono salite le lacrime agli occhi quando l’ho visto spuntare da quel balcone
illuminato da candele, durante Ave Maria Païen.
Claude
Frollo è il personaggio preferito da quasi tutti, solitamente (il mio è Pierre
Gringoire e lo sarà per sempre! Quindi sono abbastanza neutrale nel giudizio).
Secondo
me i performer, italiano e francese, lo hanno interpretato in due modi
totalmente differenti:
Matteucci
è un frollo austero e granitico. Anche quando canta Un prete innamorato o mi
distruggerai , porta sempre con se quella statuaria distanza che lo fa
somigliare a una chimera di pietra della cattedrale. È un uomo con valori e
ideali fermi e irremovibili, dove Esmeralda rappresenta una falla irreparabile.
Il
Frollo francese è forse più simile a quello del libro (ops): giovane ma col
portamento da vecchio, il rimpianto e l’invidia verso le sue passioni non vissute
e tutti quelli che invece possono essere liberi. È un Frollo passionale e
disperato.
Amo
alla follia (ma veramente tanto!) quella gestualità di Daniel: alza le
sopracciglia, poi si incurva tutto su sé stesso e si sfrega le mani. È di una
resa pazzesca.
Chapeau
per quell’occhiata colpevole, mentre lei si lava nell’acquasantiera (e ci
infila un piede con la grazia di un elefante).
Commentiamo
Le
Val d’Amour : devo dire che quel pannello nero, alzato solo quel che
basta per vedere le gambe delle donne, è veramente scenico. A prescindere dal
fatto che piaccia o meno (per esempio, a me piace di più senza), si deve
ammettere che è una vera botta di scenografia!
Mi
piace moltissimo quando gli uomini scivolano fuori da quello spazio.
Sembra
quasi un rettangolino della censura … solo che è la parte “da censurare”, l’unica
che viene mostrata. Molto d’effetto, ripeto.
Proseguiamo,
ignorando Gringoire che si atteggia a reginetta del bordello, ed arriviamo alla
chiusura del primo atto, con La Volupté e Fatalité (no, non sto
enunciando i principi della repubblica francese) .
Esmeralda,
per piacere, posa quel coltellino svizzero, che te l’ho già detto: non si vede.
E
qualcuno dia a Phoebus una bussola … ha l’aria un po’ persa.
Ah,
nella versione italiana c’è una line che mi ha sempre fatto schiantare dalle
risate (anche se non si dovrebbe ridere, in quel momento, forse): Esmeralda
dice “io ti amerò fino a perdere la mia vita!”. Ecco, io vorrei solo dirle: “esatto!”.
Breve
intervallo e poi attacchiamo con il secondo atto.
Potete
andare a prendere i popcorn al bar qui accanto.
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